Vita da scrittori alti e bassi
- Isabella Pojavis
- 20 mag 2020
- Tempo di lettura: 3 min
Scrivere, scrivere, scrivere e poi ogni tanto uno si chiede: ma perché? Per chi?
Scrivere, scrivere, scrivere, possibilmente ogni giorno, studiare, approfondire le tematiche su cui si sta scrivendo o, se si scrive strettamente di finzione, corsi di scrittura creativa, ripassare la gramatica, la punteggiatura, i sinonimi e così via, per una strada lunga di cui si vede solo l’inizio.
Senza parlare del fatto che ci sono giorni buoni e giorni cattivi: i giorni in cui siamo ispirati, abbiamo idee che ci sembrano meravigliose e che miglioreranno, intratterranno, spaventeranno il mondo intero e lo faranno sognare; e giorni in cui tutto quello che abbiamo scritto, che fosse una frase, una parola o un intero libro ci sembrano la peggiore spazzatura del mondo, quello stesso mondo che momenti prima avevamo conquistato e incantato.
E quindi dove trovare la forza per andare avanti: la luce nei giorni bui e un pizzico di realtà nei giorni pieni di sole?
Qualcuno dice che la risposta sia la costanza e io ci credo: non importa che giorno sia, scrivi! Non importa come sia quello che stai scrivendo, tu continua a scrivere! Non importa che nessuno ti legga: continua comunque a scrivere.
Sì, perché, dopo la fatica di scrivere una parola, una frase, una poesia o un intero romanzo, o enciclopedia che sia, c’e poi il piccolo problemino che qualcuno dovrebbe leggerlo.
Ma chi?
E perché?
Si parte dagli amici stretti e dalla famiglia che ci daranno pareri più o meno obiettivi. Poi si invierà il materiale ad agenti letterari, case editrici, a pagamento o meno, e poi?
In tutti i casi ci vorranno mesi, forse anni prima che qualcuno noti quello che abbiamo nascosto tra le pagine e, pochi (perché qualche eccezione alla regola c’è sempre per fortuna) faranno quel viaggio che trasformerà quello che è considerato un hobby, in un lavoro, un progetto di vita.
Che cosa fai?
Sono uno/a scrittore/ice!
Sì, ma come vivi?
E in un mondo dove i soldi fanno da bilancia tra quello che è e quello che non è, tra quello che consideriamo lavoro e quello che è solo un passatempo, la strada è ancora più difficile.
E quindi, tutto il processo, di parole buttate sui fogli o accompagnate tra le pagine, si riapre. Quanto è buono quello che ho scritto? Come posso migliorarlo? Devo farlo? Dovrei farlo?
Ma non è tutto nero, lo giuro.
Ci sono i giorni neri, quelli in cui sembra inutile e senza senso, ma poi ci sono quegli attimi: gli attimi di pace con noi stessi, quelli in cui qualcuno ci dice di averci letto, qualcuno ci fa qualche commento a un dettaglio, un personaggio a cui non avevamo dedicato il tempo che avremmo dovuto, una frase che è stata notata, un’emozione regalata, e tutto torna a brillare. Si riprende a scrivere, a pensare a chi ci legge, a chi potrebbe leggerci e, nelle montagne russe della vita dello scrittore, si va avanti perché quello che stiamo facendo ci piace, anche se È un lavoro e a volte super noioso (sapete che bisogna rileggere un romanzo minimo cinque, sei volte prima di poterlo presentare o pubblicare? E dico almeno). Pensate alla Rowling che ha scritto otto libri di seicento pagine l’uno…Alla fine, ci credo che Harry e compagni siano diventati i suoi migliori amici , non perché li ha creati lei, ma perché li ha riletti tante di quelle volte che avrebbe potuto disegnarli a occhi chiusi.
Insomma.
La parte più difficile per me dello scrivere è sentire riconosciuto il tempo investito, è far capire che un libro richiede tempo, molto tempo e varie capacità: strutturali, grammaticali, emotive ed emozionali.
Non si prende un foglio e si scrive un romanzo, ci vuole l’idea, il tempo, il non-detto, il doppio gioco, l’organizzazione, la memoria, la pazienza, la struttura, anche la matematica.
È un’abilità che, dopo averla allenata, richiede molte capacità.
E a chi, come me, dedica il suo tempo alla scrittura: non mollate, non vi perdete: scrivete!
Andate avanti, perché la persistenza è la chiave. E ricordate che quello che scrivete deve piacere per prima cosa a voi.
Buona scrittura.
Isabella Pojavis
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