Attraversando il deserto della vita
- Isabella Pojavis
- 26 set 2024
- Tempo di lettura: 3 min

Quest'estate siamo andati in Marocco. Cinque giorni, una minivacanza, attraverso un paese e una cultura vicine e lontane. Siamo arrivati al confine con l'Algeria nel deserto, il sahara (perché lo sappiate sahara non è il nome del deserto ma significa deserto in arabo, e siccome è il più grande del continete tutti lo conoscono come "sahara").
Potrei scrivere sulle differenze e le similitudini culturali un post lungo mille pagine (non preoccupatevi sto già scrivendo un nuovo romanzo), ma in questo post voglio centrarmi sul sahara: una distesa infinita di sabbia dorata con divese sfumature dal giallo al marrone, inquietante e meravigliosa, in cui il tempo scompare, i pensieri rallentano e il respiro si perde in folate di vento. La sabbia penetra in profondità, arriva nell'intimo, il corpo si trasforma e diventa parte dell'ambiente che lo circonda. I piedi affondano, le folate di vento cambiano continuamente la struttura del paesaggio. non ci sono punti di riferimento, la vista si perde, unico punto sono il sole e le stelle.
Durante la notte, è passata su di noi una tormenta, la mattina dopo, all'alba, niente di quello che il giorno prima aveva una forma era uguale.
Con un viaggio così, non potevo che scegliere di leggere "Deserto" di Jean-Marie Gustave Le Clézio (premio nobel per la letteratura del 2008). Un libro lento, calmo, monotono, senza tempo proprio come la sabbia. Una storia senza speranza, senza traguardi, un grido disperato, gettato al vento, di rivendicazione sociale, culturale, economico-politica.
Le Clézio ci sfinisce con la sua lentezza, con la sua imperturbabile sicurezza.
Di chi è un paese? Chi ha diritto a viverci? Di che cosa si ha bisogno per vivere? Perché esiste la povertà in un mondo tanto grande? A che servono i soldi? Che cos'è la felicità?
Queste, e un altro migliaio di domande, sono quelle che ci pone tra le sue pagine fatte di camminate infinite in un deserto arido, tirchio, dove un dattero è salvezza per giornate sfinenti. Dove una ragazzina affronta un mondo moderno per poi scappare e tornare a uno molto più pieno.
Non è una lettura semplice, non è un libro per passare il tempo. Ci sono anche delle cose che a volte non quadrano, tempistiche e modo di scrivere che mi hanno lasciato dei dubbi, ma...
Sarà che sono nello stesso esatto momento in cui si trovava l'autore quando ha scritto questo libro; sarà che anche io mi sento di camminare in un deserto arido in cui la libertà non trova spazio e le utopie affondano tra le dune; sarà che non comprendo le lotte economiche, che non capisco come qualcuno possa rivendicare una terra come propria; sarà che il problema nasce ogni giorno, nelle scelte di ognuno e non lontano da noi come a volte appare; sarà che Lalla è un personaggio integro, così come Nur, e non ce ne sono molti nella vita di tutti i giorni; sarà che ho una visione del mondo che non esiste, ma che vorrei esistesse; sarà un sacco di cose per le quali non posso che suggerirvi di affondare con mani, piedi e sogni nella sabbia di pagine appiccicose, lente, monotone, aride, dolorose, pessimiste ma anche piene di luce per chi sa carcarla.

La forza di questo libro non sta nella struttura, né nel modo in cui è scritto, ma nel messaggio, nell'idea, nella rabbia dell'autore contro un sistema sociopolitoco che non lo rappresenta.
Che altro aggiungere?
Se avete coraggio, tempo, pazienza, lentezza, o se pensate di aver bisogno di questo tema, buona lettura!
Fatemi sapere che cosa ne pensate.
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