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Perché leggere ci farà vivere in eterno.

Anche se non ci credi.

La vita è una cosa bizzarra. Inizia senza preavviso e continua in modo imprevedibile; senza dar conto a nessuno quando giunge alla fine. Senza una vera logica, una preferenza, un ordine. Ci lascia provare emozioni inaspettate e ce le porta via con la stessa velocità, per poi riproporcene di nuove, in una figura geometrica a cui ancora non abbiamo dato un nome.

La vita però è una cosa meravigliosa. Ci trasporta tra le sue braccia, senza chiedere permesso, ci culla, abbraccia, scombussola, solletica e pizzica, colpisce. Ci sono gli alti e i bassi, le gioie e i dolori, le paure e le sicurezze: quanti opposti! Anche troppi!

Ma una cosa resta costante, almeno per gli esseri umani: comprenderne il senso.

Qualcuno lo conosce? Qualcuno lo ha capito? Qualcuno lo ha trovato?

La risposta in realtà è sì, ma la maggioranza continua a chiederselo comunque, come se la soluzione fosse troppo semplice per essere accettata; e quindi si scava più a fondo, ci si investiga, scruta.

E in questo percorso arrivano i libri: storie alla ricerca del tempo, del senso, del vento, del canto. Storie alla ricerca. Nessun libro è in grado di NON trasportare un messaggio, una riflessione, un pensiero nel suo lettore. Nemmeno se ci si provasse, e forse dovrei farlo, si potrebbe avere un libro pieno ma vuoto.

Ed è per questo che la sua pienezza riporta il lettore a esplorarlo, per leggere sé stesso. Perché sapete bene che nel leggere non vediamo mai quello che lo scrittore vede, ma solo quello che i nostri occhi ci propongono, come in uno specchio: non è la realtà, è solo un riflesso, eppure siamo noi, attraverso i nostri occhi.


Quando si fanno analisi del comportamento per esempio, per essere sicuri dei dati trovati si fa un test tra due o più osservatori, su parametri molto ben definiti, per vedere se i due o più abbiano riportato gli stessi, o molto simili, risultati. Altrimenti ognuno di lascia trasportare da sé stesso, in un'altra dimensione.


Due anni fa ho organizzato dei brevi corsi di scrittura espressiva con dei bambini di quarte elementare. Tutto era nato perché la figlia di una mia amica, che aveva letto un mio libro, mi aveva chiesto di andare a parlarne nella sua classe. (Lei si chiama Bruna, ha ormai dieci anni ed è una bambina meravigliosa e piena di energia. La vedete nella foto).

In quella occasione, parlavamo di personaggi.

Per prima cosa, però, per far comprendere ai bambini come fosse importante questo punto, e cioè che il loro punto di vista parte sempre da loro stessi e non da quello che stanno osservando, gli chiesi di scrivere su un quaderno quattro cose che gli piacevano di me e due che non gli piacevano. Gli dissi di scrivere liberamente che non avrebbero dovuto leggere nulla se non avessero voluto: era una cosa per loro.

Quando ebbero finito, chiesi se qualcuno avesse voglia di condividere quello che aveva scritto con la classe, liberamente e senza pressione. Molti vollero condividere le cose positive (mi piace il tuo pantalone, i tuoi capelli, che sorridi spesso, ecc…); poi qualcuno condivise quello che non gli piaceva (non mi piace il tuo pantalone, i tuoi capelli, che sorridi spesso, ecc..).

Avevano detto tutto e l’opposto di tutto.

Ci mettemmo a ridere.

Chiesi loro se i miei capelli fossero belli o brutti per me. Dissero che non lo sapevano, perché loro mi stavano leggendo con i loro occhi, non con i miei. Nel 'personaggio' che ero per loro in quel momento non faceva nessuna differenza chi fossi per me, ma era importante solo quello che rappresentavo per loro.

Quindi gli chiesi di indicarmi con il dito indice: “quando puntate verso qualcuno”, dissi loro, “ricordate che le altre quattro dita sono puntate verso di voi”.

Il mondo lo leggiamo con i nostri occhi, e non con quelli degli altri.

Da questo parlammo di come affrontare il giudizio degli altri, ma non è questo il punto adesso.

Quello che volevo condividere stasera con voi è che grazie ai libri approfondiamo chi siamo, ci vediamo attraverso immagini create da altri, e non soltanto da noi stessi, e ci scopriamo in contesti che non avevamo sperimentato, pensato, nemmeno sognato. Che cosa avrei fatto io in questa situazione, come mi sento a vedere qualcuno comportarsi in un certo modo, e così via. E il conoscerci meglio, il porci domande, e cercare risposte, ci avvicina a quel senso che tutti comprendo ma che continuano ancora a cercare, fino all’infinito, arrivando quasi a toccarlo.


Buona lettura.

Io vado a letto con John Fante e il suo 'Chiedi alla polvere' (con un titolo così come resistere?).

A presto

Isabella Pojavis



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