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Recensione del libro: Norwegian Wood di Haruki Murakami.

Non mi sembra un bel modo di morire.


Che ne pensate di Haruki Murakami?

Io devo confessarvi che non ne sono ancora convinta. Norwegian Wood è il secondo libro che leggo di questo autore, e mi è capitato tra le mani per un club di lettura a cui partecipo (altrimenti, dopo la prima esperienza, non avrei provato con un secondo).

In realtà mi piace il suo stile, quel modo di scrivere rapido e diretto, ma credo che sia il modo in cui tratta le storie e gli argomenti a lasciarmi perplessa.

‘Norwegian Wood’ è il racconto, in prima persona, di una storia d’amore tra teenagers. La storia si svolge in Giappone, e vi dico subito che la parte che mi ha interessato, più di tutte, è stato il suo modo di descrivere alcune caratteristiche della cultura di questo affascinante paese. Quello che troverete in questo libro, in particolare, è un esempio di realtà (nella finzione) di studenti universitari. Io non ho mai visitato il Giappone e mi piace l’idea di riuscire a immaginare un luogo attraverso i personaggi di un romanzo, pur sapendo che si tratti di 'fiction'.


Il protagonista della storia, Toru, è un ragazzo che resta normalmente al margine del gruppo, ma che appare invece molto attraente per, direi, tutte le ragazze che incontra durante il racconto. Il romanzo inizia con un flash back di un Toru, ormai adulto, che rivisita la memoria di un passato da studente.

Differenti figure femminili si affacceranno nella trama con ruoli e personalità differenti; tutte attratte dalla figura maschile di Turo, che io ho trovato un po' troppo importante.

Alla fine Toru sceglierà...


Non voglio togliervi la sorpresa e poi...io ancora non l'ho capito.


La lettura è veloce, e in molte scene l’autore utilizza descrizioni davvero belle creando immagini che restano nella mente (come quella del pozzo che trovi nell’estratto).

Tutta la trama è strutturata sul mistero finale che ci incolla al libro fino all'ultima pagina.

Lo consiglierei soprattutto ai ragazzi, proprio per questa capacità di mantenere l'interesse per la lettura e per lo stile leggero. Tenete presente però la presenza di, secondo me eccessivi, episodi di suicidio tra i personaggi (forse più frequenti in Giappone che dalle nostre parti? Non lo so.).


Estratto.

“Ma sí, certo, era la storia del pozzo. Se quel pozzo esistesse davvero, non l’ho mai saputo. Può anche darsi che fosse un’immagine o un simbolo che esisteva solo dentro di lei, un altro dei tanti fili che in quei giorni bui Naoko tesseva nella mente. Ma dopo aver sentito da lei questa storia, è impossibile per me ricordare il prato senza vedere il pozzo. L’immagine di quel pozzo che non ho mai visto con i miei occhi, nelle mia testa si è fusa saldamente con quel paesaggio, diventandone parte inseparabile. Posso perfino descriverlo nei dettagli. Il pozzo si trova proprio al confine tra la fine del prato e l’inizio del bosco. L’erba nasconde ingegnosamente quel buco scuro, dal diametro di circa un metro, che si spalanca nel suolo. Non ha attorno né una recinzione né un parapetto. Non è altro che un buco aperto nel terreno. Il suo orlo di pietra sbiadito dalle intemperie ha acquistato uno strano colore biancastro, e in alcuni punti è spaccato o frantumato. Si possono vedere piccole lucertole verdi infilarsi agili tra le fenditure. Anche se ci si sporge e si prova a guardare nel buco, non si riesce a vedere niente. Si capisce solo che è paurosamente profondo. Profondo al di là di ogni immaginazione. E in quel buco si annida il buio, un buio cosí fitto che sembra concentrare tutte le varietà di tenebra che esistono nel mondo.

– È davvero… davvero profondo, sai? – aveva detto Naoko, scegliendo le parole con cura. Era cosí che a volte parlava: lentamente, cercando le parole adatte. – È davvero profondo. Però nessuno sa esattamente dove sia. La sola cosa sicura è che si trova da queste parti.

Poi, le mani ficcate nelle tasche della giacca di tweed, mi guardò con un sorriso convinto.

– Ma allora è pericolosissimo, – dissi io. – Si sa che da qualche parte c’è un pozzo profondo, ma nessuno sa dove si trova. Se uno ci cade dentro, è spacciato.

– Se uno ci cade dentro, è finito. Fiuuu… ploff! E addio.

– Ma non succede qualche volta?

– Ogni tanto sí. Più o meno una volta ogni due o tre anni. Qualcuno scompare all’improvviso, e non si riesce più a trovare. Allora la gente di qui dice: ah, un altro caduto nel pozzo.

– Non mi sembra un bel modo di morire, – dissi.

– È una morte orribile, – disse lei, staccandosi i fili d’erba impigliati nella giacca. – Se uno si rompe l’osso del collo e muore all’istante d’accordo, ma metti che nella caduta si procuri solo una distorsione alla gamba o roba del genere, allora sono guai. Anche a cercare di gridare con tutte le proprie forze, non sentirebbe nessuno e non ci sarebbe nessuna speranza di essere ritrovati. Immaginati restare lí al buio, con il corpo immerso nell’acqua, tra nugoli di millepiedi e ragni e le ossa di quelli morti laggiù sparse dappertutto. E il tondo di luce fermo lassù in alto piccolo piccolo come la luna d’inverno. A stare in un posto simile si muore lentamente e da soli.

– Vengono i brividi solo a pensarci, – dissi io. – Qualcuno dovrebbe trovare questo pozzo e fargli attorno un recinto.”


E voi, lo avete letto? Che ne pensate? Siete fan dell’autore? Volete consigliarmi qualcun altro dei suoi libri?

Se avete voglia di vedere altre recensioni, qui trovate il link di good readers. Se siete su questa piattaforma, seguitemi (Isabella Pojavis), vi aspetto per scambiare commenti e suggerimenti.

A presto e buona lettura.

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