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Recensione di Chiedi alla polvere di John Fante


Quello che importa nella vita è…


L’estate scorsa, o forse era autunno ma non fa differenza, sono passata per casa (Napoli). Dovevo presentare TU Haiku insieme a Gabriele De Stefano e, oltre questo e prima di questo, volevo vedere la mia famiglia e i miei amici. Quando si vive lontano, non è sempre facile viaggiare per un solo motivo, e si cerca sempre di mettere più cose insieme.

In tutti i casi, avevo da poco aperto l’associazione ValenciaLee e avevo letto che a Piazza Vanvitelli avessero aperto un punto di intercambio libri. Non potevo non passare a vedere come funzionasse: quanti libri ci fossero e se le persone lo utilizzassero o meno. Quindi, in una mattina di sole, sono passata per la piazza e ho visto questa meravigliosa mensola, semi-nascosta in un chiosco di fiori.

Quale posto migliore per piantare dei gigli?

Mi sono avvicinata con discrezione, perché non mi piace fare rumore, e ho letto i vari titoli…"Chiedi alla polvere”. Un titolo geniale. A chi altro chiedere, se non a quello che è stato, che siamo stati, e che saremo? Ho chiesto se potevo prenderlo e mi hanno detto di si, che però avrei dovuto portare un libro in cambio, visto che non ne avevo uno in quel momento.

Sono tornata il giorno dopo e ho lasciato tre copie de “Il giglio dai capelli rossi” ho ringraziato e sono andata via. Dopo qualche giorno, le tre copie del mio libro non c’erano più: chissà nelle mani di chi sono arrivati e come mi piacerebbe scoprirlo…

Comunque, come sempre, il buon John Fante è entrato nella lista dei libri da leggere, e solo adesso, a distanza di un anno, ha trovato il suo tempo. Non sapevo niente dell’autore, né della storia, solo la polvere mi richiamava. Poi, quando ho letto “La lettrice scomparsa”, l’autore citava, tra i vari romanzi, proprio “Chiedi alla polvere” e ho capito che fosse giunto il momento di leggerlo.


La quarta di copertina riporta: “Il capolavoro di John Fante. Uno dei grandi libri della letteratura americana del novecento”.


Il protagonista, Arturo Bandini, è uno scrittore squattrinato che arriva in California in cerca di fortuna. Il suo sogno: vedere pubblicate le sue opere, prima i suoi racconti e poi il suo romanzo. Bandini è giovane, spende quello che guadagna dalla pubblicazione del suo primo racconto, in poche ore, e si innamora, ma non avendo ancora capito cosa sia l’amore o come viverlo.

La sua vita, dapprima centrata sulla carriera e sul successo come scrittore, lentamente cambia percorso, priorità. Una vena di rabbia e incomprensione, immagini a volte spaventose dal punto di vista emotivo.

Il tutto dei sentimenti e delle emozioni, contro il niente dei fatti e dei beni materiali.

Un finale che avrei sperato diverso, ma che diverso non poteva essere, nemmeno questa volta. Scritto in un’epoca diversa, l’autore ci racconta anche un’America del passato, anche se poco lontano visti gli avvenimenti degli ultimi giorni sul tema del razzismo.

Un bel libro, non il mio preferito, ma senza dubbio da leggere. La vena violenta che poi si trasforma mi ha lasciato comunque una sensazione amara, ma si sa che sono troppo sensibile.


Come sempre vi riporto qualche piccolo estratto.


“Dovevo scrivere una storia d’amore, imparare cos’era la vita!”


Questa frase mi ha fatto sorridere perché è un po’ la stessa sensazione che ho provato prima di scrivere “La danza dei pinguini” (che pubblicherò presto), e che è infatti la mia prima storia d’amore.


“…dovevo prendere una decisione importante nei confronti dell’albergo. O pagavo o me ne andavo: così diceva il biglietto che la padrona mi aveva infilato sotto la porta. Era un bel problema…Lo risolsi spegnendo la luce e andandomene a letto.”


E quindi vado a letto anche io.

Buona notte anche a voi, ci sentiamo presto.


Isabella Pojavis



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