Tra le fiamme di Fahrenheit 451
- Isabella Pojavis
- 28 mar 2021
- Tempo di lettura: 4 min
Bruciamo tutti libri del mondo oppure no?
Ray Bradbury è nato nell'Illinois nel 1920 ed è morto a Los Angeles nel 2012 all'età di novantun anni. Ha scritto Fahrenheit 451 nel 1953, partendo da una storia breve che ha poi espanso per trasformarla in un romanzo .
Fahrenheit 451 è un libro che brucia tra le mani e che si legge in un soffio. La storia racconta di un mondo assurdo, distopico, in cui i libri vengono bruciati perché considerati una minaccia per la felicità e per la spensieratezza. In un mondo in cui nessuno vuole più pensare o riflettere, ma solo ricevere immagini a lieto fine e senza profondità, i libri diventano non solo un pericolo ma anche oggetti inutili, visto che nessuno più, o quasi, legge. Tutti sono incollati a schermi e a immagini prefabbricate: le guerre non interessano , le bombe non spaventano, non importa più nulla.
Il collegamento alla realtà che stiamo vivendo, ancorata a schermi e pubblicità, è evidente, è la magia di questa storia è proprio questa connessione, nonostante siano passati più di settant'anni da quando questo testo è stato pubblicato.
“Il televisore è ‘reale’, è immediato, ha dimensioni. Vi dice lui quello che dovete pensare, e ve lo dice con voce di tuono. Deve avere ragione, vi dite: sembra talmente che l’abbia!”
E quindi, il protagonista cerca di ribellarsi, con tutte le conseguenze del caso, allo stesso sistema in cui ha lavorato per anni. Montag infatti è un pompiere, ma i pompieri, in questa realtà, non spengono gli incendi ma li appiccano e lo fanno soprattutto quando qualcuno ha dei libri, cosa che è diventata un atto illegale.
Fahrenheit 451 è, secondo l'autore, la temperatura a cui si verifica l'autoignizione dei libri, cioè la temperatura a cui la carta prenderebbe fuoco spontaneamente. Adesso, a prescindere da se questo dato sia reale o meno (per approfondimenti leggete questo articolo de il post) l'autore ci pone davanti a due interrogativi importanti, secondo me.
Il primo, forse meno interessante ma per me molto vicino visto il mio progetto di scrittura è: rischieremmo la vita per salvare qualsiasi libro? Un libro in se è un oggetto da salvare come idea o è il contenuto è quello che fa la differenza? Se il mondo impazzisse, e per salvare una storia, una poesia, bisognerebbe rischiare la vita, lo si farebbe per il libro come idea o per alcuni libri in concreto?
Il secondo interrogativo ci pone invece di fronte alla domanda: senza cultura, che cosa resterebbe di noi come esseri umani?
Pochi giorni fa, a un corso di scrittura che sto seguendo, abbiamo letto il sonetto n 8 di Rainer Maria Rilke, una poesia molto intensa che ricorda come gli esseri umani abbiano perso la libertà che anno gli animali di guardare all'infinito, del vivere il qui e ora, diventando schiavi di se stessi, delle proprie paure e delle proprie costruzioni mentali.
Eppure, è proprio in questa assenza di libertà, in questa gabbia, che l'uomo, a differenza di altri animali, è riuscito a creare un sistema culturale che gli permetta di vedere le sbarre. Non le può attraversare, ma può vederle, in qualche modo comprenderle, studiarle, indagare.
Ed è per questo che Fahrenheit 451 ci ricorda come tutto quello che abbiamo sono le riflessioni, i dubbi, le domande senza le quali ci resterebbe solo il nulla.
“Non puoi costruire una casa senza legno e chiodi, quindi se non vuoi che la casa venga costruita, nascondi il legno e i chiodi. Se non vuoi che qualcuno sia politicamente scontento non fargli che la questione ha due aspetti: digliene uno soltanto e non si preoccuperà. Meglio ancora, non dirgli niente. Fagli dimenticare che esiste la guerra. Se il governo è inefficiente, ingiusto e vuole troppe tasse, è meglio che rimanga com’è piuttosto che la gente sì agiti. La pace, Montag. Dai alla gente concorsi a premi in cui basta conoscere le parole delle canzoni più famose, le capitali degli stati o quanto granturco si è prodotto l’anno scorso nello Iowa. Riempila di informazioni innocue, rimpinzala di tanti fatti e si sentirà intelligente solo perché sa le cose. Loro crederanno di pensare, avranno l’impressione del movimento anche se non si muovono affatto. E tutti saranno felici perché i fatti di quel genere non cambiano.”
Peccato solo che l'autore abbia dovuto aggiungere la seconda parte per allungare il libro. Publicare un racconto brevissimo non è considerato accettabile da quasi nessuna casa editrice, e quindi, per ragioni di "mercato" la storia è diventata più lunga perdendo secondo me d'intensità.
La seconda parte infatti della storia mi ha convinto meno e anche la scelta del finale e di una sorta di speranza obbligata.
Mi è tornato alla mente Cervantes con il suo Don Quijote.
Quanto mi sono arrabbiata, leggendo il finale, per la sua morte, ma con il senno di poi mi domando: in che altro modo sarebbe potuto finire?
Ecco, in questo caso mi sono domandato giusto l'opposto, ma non voglio svelare il finale per chi ancora non l'ha letto.
Un grazie quindi a Ray Bradbury per averlo scritto. Un grazie per le riflessioni, gli spunti e le idee.
In fin dei conti, che altro è un libro se non una finestra sul nostro modo di vedere il mondo?
E voi? Cari #gigli lo avete letto?
Se non l'avete fatto, ve lo consiglio senza dubbio! È una fortuna ritrovarsi con un buon libro tra le mani.
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